

Essendoci ritagliati del tempo da dedicare a noi stessi, ci siamo chiesti come poterlo investire nel migliore dei modi per farne davvero tesoro. Il nostro amore e interesse per le spezie, per le piante aromatiche e medicinali ci avevano fatto entrare più volte in contatto con l’Ayurveda. All’inizio non gli abbiamo dato molta importanza, ma l’argomento si continuava a presentare curiosamente in modo sistematico e abbiamo pensato di approfondirlo e studiarlo più seriamente. Abbiamo visto nell’Ayurveda una correlazione profonda con ciò che stiamo facendo e con quello che siamo proiettati a fare.
Personalmente non mi sono preparato affatto, se non con qualche lettura, e mi sono avvicinato a questa esperienza senza aspettative e aperto a ciò che poteva succedere.

Nel piccolissimo aeroporto di Dharamshala, contornato dalle montagne, abbiamo fatto il primo incontro con i ‘famosi’ tassisti indiani che ci hanno fatto penare per tutta la durata del viaggio. Dopo estenuanti trattative per poter pagare un prezzo giusto e onesto per arrivare a destinazione, abbiamo deciso di prendere un autobus locale.
È bellissimo parlare di piante, erbe e spezie in questi termini, è proprio vero che Madre Natura ci da tutto ciò di cui abbiamo bisogno, bisognerebbe solo cambiare il nostro modo di vedere la medicina.


Perché quell’uomo non voleva che facessi foto? Gli sembravo un giornalista forse? Beh sicuramente chi non ha nulla da nascondere non si preoccuperebbe di un ragazzo che fa un paio di foto, anzi.

I tibetani sono sorridenti, di animo gentile. Nei loro occhi però traspare la sofferenza della loro situazione: vivono come ospiti in una casa che non è loro, che non sentono appartenergli o meglio alla quale non si sentono appartenere. Nonostante questo hanno una dignità molto forte, ognuno di loro si da fare a modo suo, molto onestamente. Molti fanno i sarti (o le sarte), tanti vendono articoli della loro cultura in negozietti minuscoli o sulle bancarelle per strada, alcuni puliscono il tempio. Le donne camminano per strada con gli abiti tipici, belli, eleganti nella loro semplicità. Sempre con il sorriso, sempre con il mala tra le mani per contare le preghiere. Sono felice nel vedere che nessun tibetano (nessuno!) mendichi per strada.


Abbiamo deciso di trascorrere qualche giorno in un paesino poco più in alto che si chiama Bhagsu Nag, sembra un po’ pieno di freak scappati di casa e io mi sento profondamente diverso da loro, forse sarà solo il mio ego ma un posto con tanti stranieri mi fa sempre storcere il naso. Comunque è un bel posto e l’Himalaya si sente ancora più vicina. Camminando pochi passi abbiamo raggiunto una meravigliosa cascata che fa da sfondo ai monaci che sotto il sole si spogliano per lavare nel torrente le loro vesti rosse e gialle che poi mettono ad asciugare sulle rocce piatte e lucenti. Sembra di guardare un quadro. Scendendo verso il ruscello mi accorgo che tra le pietre e in mezzo all’acqua cristallina c’è tantissima spazzatura. Davanti a questo scempio mi sento inerme e in qualche modo responsabile. Quasi mi viene da piangere e so che non sarà la bottiglia di plastica che abbiamo tirato fuori dall’acqua per buttarla in un cestino a cambiare la situazione.



La notte è lenta, scomoda e gelata. Io capisco che è meglio infilare bocca e naso dentro il sacco, perché se no mi si congela il respiro. Verso le 4 mi sveglio per l’ennesima volta, e in preda al freddo e alla scomodità, prego il Signore che faccia presto sorgere il sole. Dopo qualche ora alle prime luci dell’alba usciamo dalla tenda tutti imbacuccati. Il sole non è ancora uscito e le montagne di fronte a noi sono rosa, bellissime.


In qualche modo, aiutati dalla provvidenza, arriviamo in quella che sembra essere una città appena bombardata: tutto distrutto, macerie ovunque, pali della luce abbattuti e gettati per terra con tutti i cavi, polvere, terra e il solito traffico infernale. Chiediamo in giro e ci dicono che stanno facendo dei lavori di abbellimento. Invece però di procedere con logica, hanno pensato di radere al suolo mezza città. Non ci sono (ovviamente) altri turisti e ci sentiamo gli occhi di tutti puntati addosso. Per mimetizzarci decidiamo di vestirci da indiani: compriamo tutto e ci cambiamo. Io mi metto una classica kurta completamente bianca, Silvia si diverte invece con i colori. In effetti funziona, quelli che se ne accorgono ridono divertiti. Io rido perché sono vestito da indiano mentre tanti indiani vanno in giro in jeans (che bella metafora di come vanno le cose). In mezzo al folle delirio del traffico e della confusione, rido anche perché penso a chi va in India per cercare la pace pensando di poterla trovare in qualche posto, a chi va in India avendo un’idea distorta, idilliaca. La verità secondo me è che se una cosa non è dentro, non è da nessun altra parte e capisco che forse l’India è solo una grande opportunità per testare la ‘tua’ pace.


Prima di entrare si lasciano le scarpe in custodia consegnandole attraverso un apposito sportello in cambio di un gettone numerato. Scalzi si percorre un tappeto (il marmo bianco sotto il sole diventa caldissimo) fino alla porta d’ingresso dove attraversando delle piccole piscine ci si lava i piedi e poi, un volta coperto il capo, si entra.
Il Tempio Dorato (di oro vero!) si trova in mezzo a un laghetto artificiale accessibile da un solo ponte e si cammina tutto in torno in una specie di grande marciapiede. Il tempio è visitato in media da 100.000 persone al giorno, una marea di gente! Nonostante questo qui dentro si respira un’aria di grande pace e di sacralità.

la lancia in mano. La musica proveniente dal cuore tempio detta il ritmo di ogni cosa. All’interno del complesso si trova anche un’immensa e organizzatissima cucina che serve gratuitamente pasti a tutti (ricordo, in media 100.000 persone al giorno) non importa la religione, la casta il ceto sociale al quale si appartiene.
È impressionante come tutto sia ordinato e la quantità di gente che ogni giorno viene sfamata. Bello, davvero bello!
Questo contrasto forte tra dentro e fuori dal Tempio Dorato mi sbalordisce e lascia perplesso.

Il fiume sacro percorre tutta la cittadina di Rishikesh ed è ancora relativamente pulito, essendo a soli 200km dalla sorgente.
Questo è il Posto per i praticanti di Yoga. È ricco di scuole, di maestri, di yogi e a ogni porta ti vengono offerte lezioni singole e corsi. Si fa molto in fretta a capire chi lo fa perché è un’opportunità commerciale e chi per vocazione.

I giorni e le lezioni passano velocemente e per due volte mi sale una febbre alta che mi tiene a letto una giornata intera e che poi passa velocemente durante la notte. Due volte! Dicono che è la pratica dello yoga che mi sta ‘ripulendo’…sarà 🙂

Durante i nostri giorni a Rishikesh abbiamo anche assistito al Ganga Aarti, la cerimonia della preghiera serale che si svolge sulla riva del fiume ogni sera. Eravamo veramente in mezzo a una grande folla di indiani! Poco prima del tramonto le persone iniziano a bagnarsi nella sacra acqua del fiume, lasciando galleggiare le loro offerte (fiori, riso, candele) all’interno di cestini di foglie portati via dalla corrente. In tanti accendono incensi e recitano preghiere. Una volta tramontato il sole, dei sacerdoti danno fuoco a grandi torce e accompagnati da canti e musica celebrano questa cerimonia con un trasporto e una sacralità molto emozionanti. Sono stati questi i momenti in cui ci siamo accorti veramente del perchè il Gange venga considerato il fiume sacro dell’India.


L’ostello ci offre un tour guidato del mercato storico e ovviamente non ce lo facciamo scappare. Grazie alla guida tutto fila liscio in mezzo al labirinto di vicoli e di negozietti. Passiamo anche attraverso al mercato delle spezie, colorato e con mille odori. In mezzo a un corridoio coperto e pieno di sacchi enormi di peperoncini rossi, le persone passano e starnutiscono a ripetizione, noi lo attraversiamo ed è come se ci facessero una dose di adrenalina e il cuore inizia a battere a mille, che strana sensazione.

Avevamo posto questa domanda a Swami Vijay e la sua risposta è stata di fare sempre ciò che si sente dentro con amore ma di non preoccuparsi troppo perché in qualche modo siamo tutti nella strada per raggiungere Dio. Anche Swami Shiva mi rispose con qualcosa di simile, dicendomi che siamo tutti luce e che non c’è modo per sbagliarsi e non arrivare a Dio, è solo una questione di tempo e coscienza. Capisco profondamente il senso spirituale delle loro risposte ma resto convinto che umanamente la miseria sia uno stato mentale, una mancanza di autostima e speranza.
1- Attenta alla cacca
2- Mamma che puzza
3- Che caldo!
